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Università, professioni e nuovi trend

Un’inchiesta condotta dal settimanale L’Espresso in alcuni Atenei italiani evidenzia i cambiamenti in atto nel mondo universitario e professionale. Ne parliamo con la giornalista Letizia Gabaglio, autrice dello speciale “Green University”, insieme a Daniela Minerva e in collaborazione con Federico Ferrero. Letizia scrive per L’Espresso, Le Scienze, Mente&Cervello, Galileo e Sapere. Nel 2004 ha fondato la media company Galileo servizi editoriali. Nel 2010, con Elisa Manacorda ha pubblicato “Il Fattore X” per Castelvecchi, il primo libro sulla medicina di genere. Oggi il libro vive in un blog sul sito di D La Repubblica. Laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma, è da sempre appassionata di scienza e fa parte del Consiglio delle Responsabili dell’Associazione Donne e Scienza e del Consiglio Scientifico del Master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico” della Sissa di Trieste dove insegna “Comunicare le neuroscienze”.

Il dossier “Green University” che hai pubblicato con Daniela Minerva, in collaborazione con Federico Ferrero, sull’Espresso di questa settimana evidenzia “nuovi” trend nelle scelte universitarie dei giovani italiani. Quali sono i percorsi di studio che registrano delle inversioni di tendenza rispetto agli ultimi anni?

Prima di tutto una nota metodologica. Quelli che abbiamo registrato sono dati relativi alle iscrizioni ai corsi a numero programmato, sia a livello nazionale sia dei singoli atenei. Sono tagliati fuori, quindi, tutti quei corsi che non prevedono test di accesso, come la gran parte di quelli umanistici. E poi fra questi dati e l’effettivo numero degli immatricolati ci possono essere delle differenze. Ci sembra però che quelli individuati siano trend già iniziati negli anni scorsi: un netto calo fra gli aspiranti architetti, una riduzione sensibile di coloro che si iscrivono a Farmacia o Tecniche Farmaceutiche, un interesse crescente dei ragazzi nei confronti delle professionalità legate al mondo agrario, una sensibilità nei confronti del mondo delle biotecnologie e della mediazione culturale e linguistica.

Quali sono i cambiamenti che spiccano maggiormente o che vi hanno maggiormente sorpreso?

I dati di Farmacia e Tecniche Farmaceutiche fanno riflettere. È evidente che negli ultimi anni il mercato del lavoro per questo tipo di corsi è molto cambiato: le multinazionali del farmaco sono state colpite dalla crisi e hanno licenziato molta forza lavoro, hanno chiuso laboratori di ricerca. Chi ha studiato Tecniche Farmaceutiche l’ha fatto proprio pensando a questo settore e a come era strutturato fino a qualche anno fa. Ora le aziende preferiscono assumere laureati scientifici, come biologi o chimici, che abbiano però anche competenze di innovazione o management. Evidentemente i ragazzi lo hanno capito e fanno delle scelte diverse in base a come cambia il mondo del lavoro.

Rispetto ai cambiamenti registrati vi è qualche professione o percorso di studio che possiamo ancora oggi definire evergreen?

I medici: le domande per il test di ammissione crescono ogni anno, ma sono solo una piccola percentuale quelli che passano. E poi gli ingegneri, con l’eccezione di quelli legati al mondo dell’edilizia.

Più in generale, quanto pensi che la spendibilità del titolo all’estero incida nella scelta del percorso di studio?

Incide soprattutto nelle carriere di tipo scientifico: la preparazione dell’università italiana in campi come Fisica, Matematica o Biotecnologie è riconosciuta all’estero come molto buona. E, purtroppo, i ragazzi appassionati di queste materie sanno che in Italia la possibilità di trovare un lavoro ben retribuito è piuttosto bassa.

Come avete sottolineato nel dossier, “il futuro va inventato” e vi sono campi in cui si può giocare la sfida del nostro paese. In base alla tua esperienza e ai dati raccolti negli ultimi mesi sul placement post-laurea è possibile estrapolare qualche consiglio per il nostro pubblico studentesco?

Il primo consiglio è quello di guardarsi intorno, di non chiudersi per 4-5 anni a studiare senza capire cosa sta succedendo nella realtà. Può servire andare a studiare qualche mese all’estero, fare uno stage in azienda, o semplicemente stare attenti all’attualità per capire come meglio spendere le competenze acquisite. Mi sembra questo il caso del successo dei corsi di Agraria e di Mediazione linguistica. L’indotto creato dal turismo green da una parte e l’apertura dei mercati sempre più globali dall’altra sono dati di fatto che i giovani che vogliono trovare lavoro non possono ignorare.
Infine, chi riesce a inventarsi un lavoro è una persona con capacità di relazione, molti interessi e sufficientemente duttile per non puntare solo su una specifica professionalità. In questo senso, i laureati umanistici, da sempre considerati i meno spendibili sul mercato del lavoro, dovrebbero avere delle chance in più. A patto però di acquisire anche altre competenze, come il marketing o il management, anche una volta finita l’università.

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